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Cariatide, 1913 - 14 |
La linea, pura, semplice, formale. Etimologicamente formale: che disegna la forma, il pieno, la carne. La linea che dipinge l'espressione degli occhi, la mandorla, la fissità cieca di uno sguardo. Una linea che, con le parole di Jean Cocteau, definendo le forme corrisponde alla linea interiore dell'artista. E poi il colore: caldo, terrigno, di interni. Un colore che accenna le ombre, ricalca la linea, la riempie, ne è il completamento. Azzurro opaco, verde sfumato, nero avorio. Il supporto semplice: la tela, il foglio di carta.
Un unico soggetto,
ripetuto infinite volte, studiato, indagato, senza il curarsi della
provenienza sociale, i vizi e le virtù del singolo, in un continuo
unicum fra i tavoli dei cafè, i boulevards, i circhi:
l'uomo o, meglio, la carne della sua carne, la definizione totale
dell'esistenza, della nascita e, per beffa del destino di chi stiamo
per annunciare, della morte.
Amedeo Modigliani, ritratto del 1919
Di fronte a un disegno di
Amedeo Modigliani le luci si spengono, il silenzio si cristallizza, e
novantasette anni dopo la fine in un letto dell'ospedale de la
Charité di Parigi, il fascino della sua opera resta immutabile.
Modigliani muore a trentacinque anni, malato fin dall'infanzia, di
meningite tubercolare un freddo sabato di gennaio del 1920. La
letteratura ci restituisce la figura di un uomo bello, mediterraneo,
elegante pur nell'atroce povertà, immerso in una bohème più
idealmente romantica di quanto fosse in verità, assuefatto da
hashish e alcool a buon mercato. Chi più di lui avrebbe potuto
incarnare l'artista maledetto, lui, Modì maudit,
nato in via Roma di una città che ti appiccica addosso il salmastro,
incrocio di razze, cuore ebraico italiano? Le sue opere, i suoi
ritratti, l'aura di malinconia che comunemente e per assenso generale
evocano, confermano nell'immaginario collettivo quella figura di eroe
romantico e incompreso, melanconico appunto, che si associa alla sua
biografia. Tuttavia, le speculazioni sulla vita degli artisti
lasciano spesso il tempo che trovano, per quanto, soprattutto in età
contemporanea, i dati biografici siano determinanti per ricostruire
il percorso di un artista. Il percorso, appunto, la sua maturazione
scientifica, l'evoluzione concettuale e tipologica dell'opera,
l'osmosi avvenuta tramite la misurazione e lo studio con altri artisti, altre opere.
Non l'indole, non le fantasie romantiche dell'artista che tira fuori
dal cappello magico il capolavoro ma solo se ha fortuna perché si
perde
tra i fumi degli stupefacenti e lo scorrere dell'alcool, ma, come ci
suggerisce il Claude Lantier di Zola, la comprensione dell'artista
poeta, produttore, costruttore, ingegnere della propria opera (ποιέω dal quale deriva poeta, in greco significa fare, costruire, produrre
qualcosa, appunto).
Per
ricordare Modigliani credo, dunque, sia necessario spogliare le sue
opere da quell'aura di fantasmagorica leggenda che avvolge il suo
creatore, e provare a conoscere Amedeo attraverso i suoi occhi e le
sue mani.
Ritratto di Madame Georges van Muyden, 1917
L'uomo
come oggetto di studio, senza la distrazione dei particolari, del
collocamento spazio temporale, solo un mezzo busto, una mano
accennata, un cappellino per definire la psicologia intima del
personaggio raffigurato, un tavolo per il bilanciamento della
composizione, ma comunque l'uomo che diviene universo da indagare. È
un'indagine che si serve del disegno, della pura linea, con un occhio
ai senesi trecenteschi e ai maestri rinascimentali e l'altro alla
sinuosità di Ingres, una ieraticità tutta egiziana con sfumature
africane, un nucleo comune a tutte le elaborazioni del passato
classico che si traduce e declina in funzione dell'essenzialità,
necessaria e indispensabile per fissare l'universo uomo.
Ed
è per questo che forse Modì incontra tanta fortuna tra la fine del
XX e l'inizio del XXI secolo. Laddove la linea suggerisce un
decorativismo elementare, come poteva appartenere a Matisse, nei
dipinti di Modigliani i soggetti chiedono attenzione, fissità,
riflessione. Una riflessione che ha sempre accompagnato il loro
autore nella propria carriera, la cui eredità, mi auguro, possa
essere indagata anche nel presente perché se ne sente il bisogno.
L'attenzione per il singolo come spunto di riflessione per
l'universale che scaturisce dall'intimità dell'animo che lo lega
agli altri. Forse oggi manca questo: cercare di capire l'uomo.
Non
solo Livorno ti ringrazia Modigliani. Manchi oggi più che mai.
E. Malvaldi
*da una lettera a Oscar Ghiglia.
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