Supero il Ponte Novo e guardo verso il mare. Le scuole Vivarelli sono ancora appiccicate al porto. Parte un ricordo, oscurato poi dal muro gigante del cantiere, dove i nonni sudati riparavano le navi. Luigi Orlando in mezzo a prati incolti, con l'orologio dietro da cartolina. Imbocco il Viale Italia e mi fermo al rosso di un semaforo. Di scorcio, la stradina che porta al Liceo Enriques mi mostra l'ingresso della scuola, con le porte rosse.
Due secondi appena.
A settembre, la scuola sapeva di mare. La musica di De Gregori fuggiva dal finestrino abbassato dell'auto, accerchiata da zip, vespini e bravini. Ore ancora incerte ci spingevano verso il moletto d'Ardenza o quello d'Antignano. A volte, la Terrazza. Bastavano due scogli o un muretto, per prendere il sole vestiti. Ancora qualche bacio. Gli ultimi racconti di mare portati via dal bisogno di ordine mentale, di routine. E riprendeva il corso degli eventi, con un diario nuovo di zecca. In qualche modo, l'inizio scolastico portava serenità, tra echi estivi e nuove intenzioni.
Attorno a me c'è vita, in attesa del verde. Forse Joyce l'avrebbe registrata brillantemente. Io vedo solo facce stanche di chi va al lavoro ma pensa ad altro. Quello con gli occhiali scuri si scherma da qualcosa che non è il sole. La donna si specchia e sistema il suo trucco. Un passante sul marciapiede fotografa una baracchina dietro un cielo anonimo, che pubblicherà su facebook. Un bambino percorre il passaggio pedonale già con le mani in tasca. Pare aver perso l'immaginazione. Il solito omino chiede l'elemosina e ringrazia e ti chiede come va il lavoro. Lui, lo chiede a me, sorridendo.
Allora devo aver sbagliato tutto. Verde. Giro a sinistra, verso l'ufficio, e lascio il Viale.
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