Parigi,dopo gli attentanti. (Foto tratta dal web) |
Sono giorni duri per
questa parte di mondo. E lo saranno ancora di più i prossimi. Venerdì sera, in
poco più di mezz’ora, una decina di uomini circa ha paralizzato una città di 2
milioni e mezzo di abitanti come Parigi. Ma ha fatto di più, molto di più: ha
paralizzato l’Europa intera.
Io sono nato nel 1989,
l’anno in cui il mondo così come lo avevano conosciuto i miei genitori, stava
cambiando completamente. Da quando sono nato, di cose brutte in televisione ne
ho viste; mi ricordo benissimo gli attentati che più hanno scosso e ferito la sensibilità
di noi occidentali: l’attentato alle Torri gemelle, quello nella discoteca di
Bali e quelli a Madrid e Londra. Me ne ricordo tanti in Africa. E poi, ovviamente, le guerre. Quella nei
Balcani e quelle in Afghanistan ed Iraq, il conflitto costante tra Israele e
Palestina, e, naturalmente, i più recenti, dopo le cosiddette primavere arabe,
in Libia e in Siria. Tutti eventi terribili, di cui, con l’avanzare delle
tecnologie, abbiamo saputo sempre più cose, sempre più dettagli. Chi sono i
morti, quanti, come sono morti. Anche con dovizia di particolari. Come fossimo
lì fisicamente, nel bel mezzo dell’attentato o sotto una grandinata di bombe.
Ma noi (o meglio, la maggior parte di noi) lì, fisicamente non ci eravamo.
Noi, e con noi intendo
quelli della mia generazione e anche più grandi, la guerra non l’abbiamo mai
vista. Sì, come già detto, l’abbiamo vista in televisione, su internet, al
cinema. L’abbiamo letta sugli articoli di giornale, l’abbiamo studiata sui
libri a scuola e nelle università: ma è qualcosa che non ci appartiene, che non
vediamo (o sarebbe meglio usare il passato) e non percepiamo come qualcosa che
potrebbe coinvolgerci. La guerra, le bombe, i missili sono cose che riguardano
quella parte di mondo là. Non noi; noi dibattiamo se sia giusto o sbagliato
farla. Però, poi, qualcun altro la combatterà e soprattutto qualcun altro la
subirà. Ci ha fatto molto paura vederla, ma non ci ha mai fatto realmente paura
perché sapevano che qui, nel cuore dell’Europa occidentale non sarebbe mai
arrivata. Ora, verosimilmente, qualcosa è cambiato; come hanno ben spiegato i
massimi esperti di terrorismo e geopolitica internazionale, con gli attentati
di venerdì 13, i terroristi dell’ISIS hanno fatto un salto di qualità, un passo
in avanti: sparano in mezzo alle persone comuni (non politici, non vignettisti
etc.), si fanno esplodere di fronte agli stadi, assaltano a colpi di kalashnikov
teatri, bar e ristoranti.
Hanno portato il terrore
nelle strade, nei nostri luoghi “sacri” (che per loro, al contrario, sono
simboli di peccato) dove ci raduniamo per ascoltare musica, per mangiare e bere
e per vedere una partita di calcio: la nostra vita quotidiana. E cosa fa la
guerra se non terrorizzare le persone e paralizzarle nel loro quotidiano?
Allora penso ai miei coetanei siriani, afgani, iracheni, libici, etiopi,
eritrei che vivono in questa condizione per la maggior parte dei loro giorni; forse
non hanno conosciuto altro. Non un concerto con gli amici, non una partita di
calcio in libertà. O forse sto esagerando, chi lo sa, d’altra parte noi la
guerra non la conosciamo. Ne abbiamo avuto un piccolissimo assaggio e ci è
bastato. Il tutto è durato qualche ora, ma ci ha spaventato a morte, perché noi
quella sensazione di impotenza, di rassegnazione di fronte a qualcuno di più
forte non l’avevamo mai provata. E la paura dilaga, la paura che diventa
terrore al solo pensiero che quello che è successo per le strade di Parigi possa
diventare qualcosa di concreto, realtà non proprio quotidiana, ma quasi; non un
evento isolato, insomma.
Alt. Mi fermo un attimo,
forse sto esagerando di nuovo. Forse oltre ad avere una giustificata paura, siamo
anche troppo autoreferenziali; allora rifletto: effettivamente, ad oggi, questa
guerra è ancora una guerra loro. Una guerra tra di loro. Non lo dico io, lo
dicono i numeri. E poi non ho ancora considerato la reazione. La grande
reazione dell’Occidente. Sarà durissima, ovviamente. Una nuova guerra è pronta
a partire, i caccia pronti a decollare carichi di bombe da far cadere sui miei
coetanei siriani, libici etc. etc. E allora via la paura, la guerra tornerà “cosa
loro”e per noi solo un brutto ricordo.
Alessandro Paroli
;)
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