Foto Ass. fotografica "Il Salmastro" |
N.B. Prima di cominciare, ti avvisiamo che ogni intervista di Livorno Acoustics è suddivisa in due parti. La metà che leggerai qui di seguito approfondisce gli aspetti legati al suo rapporto con le istituzioni e con la professione di artista, mentre l'altra metà che potrai leggere su Livorno Artistica è incentrata sul processo creativo del cantautore.
1. Cosa pensi della scena musicale di Livorno?
E’ una città della quale si parla da sempre come della Seattle d’Italia, ha avuto il proprio periodo d’oro intorno alla fine degli anni novanta. Conosco molti degli attuali musicisti, non tutti, ed il livello di bravura è davvero alto.
Purtroppo sono poche le persone che riescono a dedicare alla musica o all’arte il tempo che vorrebbero. La media del risultato finale si abbassa. E tra l’altro non è neanche detto che i professionisti siano quelli con davvero qualcosa di sensato da dire. Entrano in ballo le circostanze.
Alla fine credo che la scena musicale Livornese contenga dei nomi e delle menti di altissimo livello.
In qualcuno di questi c’è un qualcosa di innato; forse la storia multietnica della città aiuta ad essere particolarmente recettivi verso il diverso, l’astratto.
2. Cosa pensi del pubblico livornese (relativamente alla musica)?
Penso che il pubblico livornese sia prima di tutto Io.
E mi sono decisamente addormentato in quanto a visione di concerti. Sarà che suono ogni giorno, ma col tempo mi è un po’ svanita la voglia di godermi uno spettacolo.
Visto dal palco, con gruppi diversi è davvero curioso, perché a seconda della popolazione riesce a trasmetterti tante sfaccettature diverse.
A degli applausi attenti con i Virginiana, alle risate partecipi con il Sinfonico Honolulu, fino all’incredibile ascolto silenzioso di Giovanardi, o al frenetico pogo sotto il palco dei Vietnow, anni fa. Il pubblico cambia atteggiamento e composizione a seconda di chi c’è la sopra, della capacità che si ha di starci ed interagire con una platea, essere in grado di lasciarli soddisfatti artisticamente e farli sentire partecipi e protagonisti di un bel momento. Quindi mi rimetto sull’ago della bilancia e dico che non ci si possa lamentare di un pubblico, se prima non ci siamo analizzati noi stessi sul saper tenere il palco.
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I musicisti intorno con cui confrontarsi.
4. Quali sono i pregi o le peculiarità dei musicisti Livornesi? E quali i limiti o i difetti?
Tendenzialmente un Livornese tende a non staccarsi dal proprio ambiente e si preclude la possibilità di confrontarsi con altri musicisti al di fuori della città, appartenenti a culture diverse, e nel caso dell’Italia, la cultura del nostro sud avrebbe davvero qualcosa di unico da offrire. Il grosso problema semmai è quello di vivere soltanto di Livorno e convincersi che questo sia l’universo, quanto basti per tirare le somme. Così capita di leggere o sentir dire delle cose, da personaggi evidentemente di spicco, di un’autoreferenzialità stucchevole, che non parlano dell’italia perché non hanno varcato le soglie del Camp Darby, ma parlano di questa città pur non essendo usciti dalla propria sala prove.
Di positivo, piuttosto ci sono delle anime silenziose, di cui mai si sente parlare in strada o localmente, che lavorano seriamente nell’ambiente musicale italiano o addirittura estero. Questi sono davvero dei bravi professionisti, penso a quattro amici, il pianista Gabriele Baldocci, il sassofonista ed arrangiatore Beppe Scardino, il tecnico del suono Nicola Fantozzi ed il contrabbassista Gabriele Evangelista. Davvero da stimare.
5. Quanta influenza credi che abbia avuto Livorno sulle tue canzoni e sulla tua carriera?
Moltissima.
Ricordo di aver visto da piccolo la Strana Officina, gli Ottavo Padiglione in trio, i Flora & Fauna, i MammaFranca, gli Snaporaz da più grandicello, ed ogni volta aver voltato le spalle a quei palchi vuoti a fine serata con la testa in subbuglio di idee e propositi. Certo, potremmo parlare di Livorno e del suo essere o meno la città ideale in cui spiccare il volo, ma non credo sia onesto. Ognuno è responsabile della propria evoluzione o involuzione, a prescindere dal contesto geografico della propria crescita. E se non ci sei arrivato, vuol dire che non lo volevi abbastanza. Sarò cinico, ma l’ho sempre pensata così.
6. Quali sono le difficoltà economiche, burocratiche e istituzionali che un musicista emergente incontra (in generale e a Livorno in particolare)? Come le hai affrontate e, eventualmente, superate?
Siamo italiani ed in questa nazione funziona la regola dell’amico dell’amico. E’ così per tutti, in ogni campo ed a volte è capitato di annusarle davvero molto vicine persino a me. E’ proprio il sistema che funziona così. Quindi sono problemi di una mentalità nazionale che da per buono il gesto scorretto a proprio favore, in sfavore di un altro.
Sono situazioni che ho visto da sempre con disprezzo, a partire dalla vita di tutti i giorni, ed in ambito musicale le ho sempre vissute un po’ di profilo e mai direttamente.
Non ho mai sopportato, specialmente i primi tempi in cui era più facile mischiarsi con molti gruppi in rassegne e concorsi, l’atteggiamento arrivista del gruppo che stringeva rapporti ferrei con gli organizzatori, amministratori e assessori, fatto di sorrisini, cene, dischi regalati, numeri scambiati.
Mi sono assestato sulla linea di essere chiamato per l’evidenza del mio lavoro, mai di propormi con atti di convincimento. Non sono un buon mercante di me stesso, ho sempre pensato che questo sia un ruolo prettamente manageriale. Ed ottenere dei risultati in questa maniera è davvero soddisfacente.
Purtroppo, tornando all’inizio, in questo paese non funziona così e l’evidenza dice che sia più onesta l’intelligenza, ma più concreta la furbizia.
E sono davvero cortese ad evitarti la parentesi burocratica riguardante tasse ecc. Fare il musicista di professione vuol dire complicarsi, costare di più al tuo datore per essere in regola. E viste le premesse, quanto poco ci vorrà a trovare un collega, magari disposto a chiudere un occhio sulla tassazione, per l’occasione, ad un prezzo più basso del tuo? Come si dice per i sentimenti, “it’s complicated..”
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7. Come affronti quelle attività, collaterali a quella prettamente artistica, necessarie per promuovere la tua musica?
Mi limito a seguire il mio sito web e ad informare di aggiornamenti i principali social network. Oltre a questo, al resto ci pensano i vari management, uffici stampa o l’agenzia di booking. Non adoro promuovermi troppo direttamente.
8. Cosa pensi dell'attività delle varie associazioni o enti culturali a Livorno?
Seguo da vicino l’associazione musicale Chorus in cui insegno e Percorsi Musicali con cui vorrei iniziare a collaborare. La prima è una scuola davvero ben gestita, di stampo moderno, in cui sono stati fatti dei passi enormi nei pochi anni trascorsi dall’apertura. Denis Chimenti e Luca Fuligni hanno davvero tutta la mia stima, sono partiti dal nulla ed hanno creato una montagna.
Mi ha sempre incuriosito il laboratorio culturale di BuongiornoLivorno, ma non vi ho mai partecipato. Nonostante sia l’appendice di un movimento politico, leggere anche se marginalmente di loro e dei continui ritrovi ed aggiornamenti mi ha fatto pensare soltanto alla viva necessità di cultura e alle sue tante sfaccettature, piuttosto che a ideologie, alle poltrone o ai motti politici.
9. Livorno presenta sufficienti servizi per la cultura (in particolare per la musica)?
Direi di si, ci sono molti spazi, qualcuno gestito molto bene, altri – a mio parere - un po’ meno. Ma non è la mancanza di posti il problema. Piuttosto è la mancanza di lavoro per soddisfare tutti questi posti. In questo senso, ci sono anche troppe offerte di servizi, rispetto all’effettiva richiesta.
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Io in realtà non mi aspetto proprio niente dal sindaco Nogarin.
Spero in un cambiamento che parta dalle persone, che stuzzichi noi per primi, più che un sindaco qualsiasi, a prescindere dal “Chi”, che probabilmente è stato il problema sottovalutato degli ultimi 60 anni. Tutti sicuri della bandiera, ma se ne sono fregati, e negli ultimi 18 anni mi ci metto anch’io, del “”Cosa” e del “Come”. Tanto c’è il “Chi” che è di quel colore. La verità è che abbiamo avuto un perfetto specchio della cittadinanza, non tanto in un’accezione disonesta, quanto più pressappochista e menefreghista. Lo scorso anno abbiamo vissuto un passaggio epocale.
Che le cose dovessero cambiare non l’ho capito a maggio 2014, sia ben chiaro. Avevo 21 anni quando riempii con uno spettacolo di un mio gruppo la fortezza nuova, 1100 persone stimate per 150.000 lire di cachet totale. E suonavo per il partito. Anche in questo caso me ne sono sempre assunto totalmente la responsabilità, non ho mai puntato il dito verso qualcuno, sono le cose che si fanno tutti in un certo periodo della propria vita, di regalare ingenuamente qualcosa di sé.
Quindi, vuoi sapere di cosa abbiano bisogno i musicisti livornesi per vedere valorizzato il proprio talento? Di comportarsi da professionisti.
In questa maniera diventa più semplice e ferreo capire di chi fidarsi, con chi lavorare, fa bene a sé stessi e con un po’ di lentezza si circonderanno delle persone giuste.
Altrimenti avranno a che fare con datori di lavoro che li tratteranno da hobbysti.
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