« (...) A tutti voi, mercanti di qualsivoglia nazione, Levantini,
Ponentini, Spagnoli, Portoghesi, Greci, Tedeschi, Italiani, Ebrei, Turchi,
Mori, Armeni, Persiani ed altri [...] concediamo [...] reale, libero e
amplissimo salvacondotto e libera facoltà e licenza che possiate venire, stare,
trafficare, passare e abitare con le famiglie e, senza partire, tornare e
negoziare nella città di Pisa e terra di Livorno (...) 30 luglio 1591
Quando, con questa legge, il Granduca Ferdinando decise di richiamare a Livorno cittadini da ogni parte del mondo per popolare una città ancora in stato germinale, i problemi occupazionali che ci sono oggi, allora non c'erano.
Ebbene sì, perché la città, anzi il paese (diverrà città circa una
quindicina di anni dopo), non vantava molti abitanti, le risorse erano
abbondanti (un commercio nautico che stava cominciando a decollare) e
comunque la situazione internazionale era molto differente.
Con queste leggi, Livorno fece un salto anacronistico nel
futuro, catapultandosi centinaia di anni avanti, divenendo una città cosmopolita
e tollerante. Sia ben chiaro, tollerante non vuol dire che non vi fossero problemi
di convivenza, ma allora gli spazi erano sicuramente maggiori e quindi ogni
comunità organizzata più o meno autonomamente riusciva ad assolvere a tutte le esigenza degli
afifliati.
Allora ben più di oggi, vi erano dei limiti culturali che rendevano
difficile l’integrazione fra varie etnie e religioni: vi era
la voglia di trovare un capro espiatorio per qualsiasi tragedia si abbattesse
sulla vita quotidiana, fosse questa un’epidemia, una carestia, un alto tasso di
delinquenza.
Eppure, a discapito di tutti i naturali limiti che potevano “vantare” le
genti che popolavano la città più di
quattro secoli fa,si riuscì unitariamente a portare avanti una città, facendola
diventare uno dei gioielli del Mediterraneo, famosa in tutta Europa per il grado
di cultura e integrazione raggiunto.
Delle comunità che costruirono Livorno, alcune si sono ormai estinte, altre sono ritornate al luogo di origine, altre ancora si sono completamente integrate donandoci un po' della propria cultura, sia essa culinaria, artistica, linguistica. Tralasciando che le poco lungimiranti amministrazioni
stanno facendo crollare e sparire del tutto le poche testimonianze
architettoniche che queste comunità ci hanno lasciato, secondo
me, ciò che ancor più va salvaguardato e recuperato è l’apertura mentale.
L’apertura culturale che permetteva una collaborazione ma anche una voglia
di migliorarsi e di apprendere, che oggi è andata sparendo. La stessa
apertura che portò miglioramenti economici di non poco conto sulla nostra città, e
che si ripercosse ampiamente su tutti i costumi di allora, come già accennato sul
cibo ma anche sulla letteratura, sull’arte, ecc..
Pare impossibile ma questo modus operandi oggi pare essersi perso. Inutile
ricercarne le colpe, ma Livorno per molti versi, sembra essersi omologata al
resto dell’Italia e non volerne sapere più di apertura e di integrazione.
Lungi da me la pretesa di voler far la paternale ai Livornesi in
favore degli stranieri, anche perché è chiaro che ad oggi la situazione sia ben
diversa.
L’economia della città non è florida come lo poteva essere quattrocento
anni fa e molte risorse e lavori, che allora garantivano sostentamenti
necessari per il benestare della popolazione, sono oggi
spariti, consumati, terminati.
E allora capita che in un periodo di
forte recessione, un periodo così nero economicamente che per trovare
comparazioni bisogna rifare un altro tuffo indietro nei decenni, muoia la
voglia di capirsi,l ’intenzione di tollerarsi e sostenersi.
Ma la lezione che secondo me bisogna tornare a capire è quella che diverse
etnie e culture non sono solo fonte di problemi ma sono anche una ricchezza, che se
adeguatamente sfruttata, può portare benefici economici di non poco conto.
E allora come fare?
Il "nuovo" cimitero ebraico |
Prima di tutto, sono quanto mai necessarie iniziative di integrazione, atte a
far capire il valore delle altre culture al Livornese, ma tanto di più allo
straniero, che deve capire le tradizioni, la storia, le norme e le leggi
livornesi, così che possa davvero esservi un rispetto reciproco. Bisogna esaltare
le peculiarità e le risorse delle diverse culture, ad esempio, mettere in
condizioni di assorbire parte della disoccupazione, con la produzione di
artigianato e prodotti tipici dei vari luoghi di appartenenza, e questo
consiste quindi anche nel tutelare l’immigrato, aiutandolo a districarsi nella
complicatissima burocrazia italiana. Altrettanto non e possibile tollerare la
deliquenza e gli episodi di cattiva integrazione, è quindi necessario colpire
duramente chi delinque (senza discriminazione alcuna fra residenti italiani e
non).
Sono sicuro, che comunque si riuscirebbe a ridurre consistentemente l’alto
tasso di delinquenza, se si provasse a prevenire con iniziative atte all’integrazione
e dando concrete possibilità di fare impresa.
Inoltre, perché non esaltare il valore dell’integrazione, quel valore che ci rese famosi secoli
fa, anche oggi?
Perché non
presentare un progetto all’Unione Europea, che coniughi le testimonianze dell’integrazione
di ieri (quindi il recupero dei cimiteri, chiese, palazzi, ma anche la
valorizzazione delle tradizioni e culture) con quelle di oggi? Davanti ad un progetto
concreto, che esalta il valore dell’integrazione e della cultura, sono certo che
l’Europa non si tirerebbe indietro.
Livorno
allora riuscirebbe a recuperare una vocazione perduta e a dare risposta ai
problemi che oggi, se ignorati, rischiano di sfociare in malessere e odio che non hanno senso di esistere.
Il vostro
Ako
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