Oggi, 8 Marzo, è la festa della donna. Per questa ricorrenza festeggiare a
cena fuori con le amiche è d'obbligo così come è dovere, per
mariti/fidanzati/amanti, regalare “un ramo di mimosa”.
Vi siete mai chiesti
perché la festa della donna si festeggia proprio l'8 marzo? A tale
riguardo vi sono folkloristiche leggende metropolitane per cui in
tale giorno si ricorderebbe un incendio avvenuto in una (fantasiosa)
fabbrica statunitense in cui persero la vita moltissime donne. Balle!
L'origine di tale ricorrenza è prettamente politica e ideologica:
trova la sua matrice nelle rivendicazioni delle donne comuniste,
trova la sua affermazione nel III congresso dell'internazionale
comunista e trae la sua forza, che ancora oggi in parte sentiamo,
nelle rivendicazioni delle femministe negli anni '70.
Insomma all'origine di
questa ricorrenza non c'è un evento tragico e passivo ma ci sono
rivendicazioni, ci sono donne che, attivamente, hanno partecipato,
hanno urlato, hanno protestato, hanno preteso ciò che spettava loro.
Generalmente ogni festa
ha un simbolo e la Festa della Donna non è da meno: il suo simbolo è
la mimosa.
Ogni anno vedo fidanzati
e mariti fare a gara per comprare alla propria donzella la mimosa più
grande, più bella, con le rose, con i tulipani e chi più ne ha più
ne metta. Il primo anno che stavamo insieme chiesi al mio ragazzo il
motivo per cui per la Festa della Donna si era presentato a mani
vuote. Lui mi rispose “io ti rispetto tutto l'anno, mica solo per
la festa della donna”. In assoluto la migliore scusa che avessi mai
sentito ma che, tutto sommato, rappresentava un input su cui
riflettere. Non è che questa Festa, di cui la mimosa è il
simbolo, non era altro che l'ennesimo specchio per le allodole,
l'ennesima volta in cui anziché prospettare soluzioni si celebravano
simboli?
Per la maggior parte
delle ragazze, mie concittadine, con cui ho parlato in questi anni
l'Otto marzo è solo una scusa per andare a cena fuori, per
trasgredire, per lasciare mariti/fidanzati/amanti a casa. A dir la
verità non ci sarebbe nulla di male a vivere una festa con innocente
spensieratezza ma la realtà di tutti i giorni è una doccia fredda,
che dovrebbe ricordarci che una simile innocenza non possiamo più
permettercela.
Noi viviamo in una città
rossa, anzi la Città Rossa per eccellenza. Da una amministrazione
del genere mi aspetterei scelte politiche ben precise, prime tra
tutte, una politica di occupazione giovanile e, ovviamente, una
politica delle Pari Opportunità degna di questo nome. Quando parlo
di pari opportunità non mi riferisco alle fantomatiche “quote
Rosa” né tantomeno faccio riferimento alle pubblicità progresso,
quelle in cui, il vip di turno, ricorda a tutti che la violenza sulle
donne è deplorevole.
Quando parlo di pari
opportunità mi riferisco al concetto fondamentale per cui uomo e
donna hanno diritto alle stesse possibilità nella società, nel
lavoro e nella famiglia.
Pari Opportunità, nei
fatti, significa, ad esempio, liberare la donna dalla scelta tra
carriera e famiglia in quanto le si garantisce la possibilità di
accedere a dei servizi che le permettono di conciliare entrambe le
sfere: una buona amministrazione dovrebbe quindi garantire servizi di
asili nido e materne. Dovrebbe. Attualmente non possiamo far altro
che prendere atto dell'incapacità dell'amministrazione di far fronte
a tutte le richieste presentate per i servizi di asilo.
Pari opportunità, nei
fatti, significa promuovere le attività culturali che consentano, a
chi è più svantaggiato, come le donne, di dotarsi degli strumenti
necessari per spiccare il volo. Sulla carenza delle attività
culturali di questa città non mi soffermo neanche: sono presa dallo
sconforto ogniqualvolta penso al grande vuoto culturale lasciato dal
Teatro Gran Guardia, vuoto colmato da..dei vestiti.
Pari opportunità, nei
fatti, significa garantire ai meritevoli, ma privi di mezzi,
l'opportunità di riuscire nel loro progetto. Il mio pensiero si
rivolge a quella Caterina Falleni, livornese di talento alla quale la
provincia di Livorno e la regione Toscana negarono sovvenzioni per la
realizzazione del suo progetto, progetto che poi, qualche mese dopo,
sarebbe approdato alla NASA.
Non fraintendetemi, non
ho scritto questo intervento solo per fare della polemica sterile
sulla nostra amministrazione perché in tal caso non farei altro che
aggiungermi ad una già lunga lista di critici senza scopo.
Ho scritto questo
intervento perché auspico che le giovani livornesi quest'anno
celebrino la Festa della Donna con un sapore amaro in bocca, con la
consapevolezza che le rivendicazioni per cui festeggiano, che il
futuro per cui (non) lottano sono molto incerti. E soprattutto
auspico che a tali consapevolezze, a tali prese di coscienza, si
uniscano anche i giovani livornesi perché nel caso di Livorno il
disagio non è soltanto di genere ma è di generazione. La labronica
città è stata infatti definita dal Sole 24 Ore la “maglia nera
dei giovani” perché è la città con il tasso di disoccupazione
giovanile più alto del Centro Nord.
Un disagio di generazione
avvertito da tutti ma di cui pochi discutono nel silenzio generale
delle istituzioni e dei diretti interessati che, fatte le dovute
eccezioni, prendono questo dato come un fatto, come qualcosa di
esistente senza preoccuparsi di capire di chi è la responsabilità,
senza preoccuparsi di lottare più di tanto.
Per questo mi auguro che
questo 8 marzo rompa l'incantesimo e risvegli il bello e la bella
livornese addormentati a Calafuria i quali, una volta ripresi dal
lungo sonno, comincino concretamente a lottare, nelle giuste forme e
nei luoghi più idonei, per pretendere ciò che spetta loro di
diritto.
Auguri a tutte le donne
Minou
Auguri a tutte le donne
Minou
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