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venerdì 12 dicembre 2014

Dietro le quinte de Lo Zoo di Vetro.

Il mormorio degli spettatori in sala, la trepidazione degli attori e il sipario chiuso. Sono solo alcune delle sensazioni che prova chi sta dietro le quinte, poco prima che lo spettacolo cominci. Ed è questo che provo ogni volta che sto per andare in scena. Quando ci vado come attrice, la testa si svuota, quando ci vado come regista o assistente sembra scoppiare tante sono le cose a cui devo pensare. Oggi voglio condividere con voi l'affascinante percorso che mi ha portato di nuovo dietro ad un sipario chiuso, così magari anch'io riuscirò a capire perché Lo Zoo di Vetro di Tennessee Williams riesce a commuovermi sempre, anche dopo decine di volte.



Tennessee Williams, se non lo conoscete, è un drammaturgo statunitense tra i più importanti del Novecento, uno di quelli che ha fatto la storia del teatro mondiale e che tutt'oggi è rappresentato con notevole frequenza sia da compagnie amatoriali che da compagnie di professionisti.

Prima di passare alla mia esperienza personale come Assistente alla Regia, vi parlo della trama. Tutto ruota intorno ad una famiglia nell'America degli anni trenta, quella dei Wingfield, sulla quale l'abbandono del padre pesa come un macigno e ogni membro subisce questo peso in modo differente. Amanda è una madre possessiva e pressante, che ha cresciuto da sola i suoi due figli. Tom, il secondogenito, nonostante la giovane età si trova costretto a provvedere economicamente alla propria famiglia, lavorando come impiegato in una fabbrica. Per lui è una sorta di gabbia dalla quale vuole evadere, desideroso com'è di vivere di poesia e di avventura. Laura, la figlia maggiore, è il personaggio più delicato, quella che forse più di tutti subisce la mancanza del padre. Resa claudicante da una malattia, è terribilmente insicura e timida. I tentativi della madre di aiutarla a farsi una vita sortiscono l'effetto contrario e così Laura si chiude sempre di più in se stessa, vivendo "in un mondo a sé, un mondo di fragili figurine di vetro", Lo Zoo di Vetro appunto. Amanda, personaggio tenace e fragile allo stesso tempo, non si dà per vinta e convince il figlio a invitare a cena un suo amico per presentarlo alla sorella. Tom invita Jim O'Connor, suo collega alla fabbrica. Jim è il "personaggio più realistico della commedia", in quanto "emissario del mondo della realtà" in cui la vicenda è ambientata ma da cui la famiglia Wingfield è come separata, chiusa a vivere il dramma della propria esistenza. E proprio il suo arrivo darà una scossa al fragile universo dei Wingfield, facendo cadere lo zoo di vetro.

La storia è semplice e lineare eppure nonostante questo riesce a coinvolgerti, perché è come la vita di tutti noi, persone normali. Sa essere buffa anche nei momenti peggiori, sa farti ridere ma sa anche prenderti a schiaffi in faccia, proprio quando tutto sembra andare per il verso giusto.

 
Inizierò subito col dirvi che la particolarità della messinscena del Teatro Vertigo risiede nel fatto che sul palco il dramma è agito da attori che anche nella vita reale sono una famiglia
Amanda, Tom e Laura sono infatti interpretati rispettivamente da Silvia Peluso, Gianluca e Annalisa Arena. Inoltre è un vero legame di amicizia quello che c'è tra l'interprete di Jim, Lorenzo Luparini, e Gianluca.



Una scelta importante che il Regista, Marco Conte, ha portato avanti con la volontà di ricreare nella maniera più verosimile possibile i conflitti e l'affetto presenti in una famiglia e la complicità tra due amici.

Come Assistente alla Regia, uno dei miei compiti principali è stato quello di prendere nota di qualsiasi indicazione registica, segnandola sul mio copione, in modo da poter suggerire agli attori i movimenti da fare, le espressioni da assumere e tanti altri piccoli aspetti, senza però mai prendere il posto del regista. 

Marco Conte ha inoltre affidato il compito a me e ad Elisa Puccini, l'assistente di scena, della scelta dei costumi. Si tratta di un aspetto davvero importante, perché il costume di scena contribuisce insieme alla scenografia a creare l'ambientazione, affina e completa l'interpretazione dell'attore e lo aiuta ad immedesimarsi ancor di più nel personaggio. Non a caso in alcune compagnie gli attori recitano con gli abiti di scena fin dalle primissime prove.

Per prima cosa abbiamo fatto una ricerca sul web per capire com'era la moda nell'America degli anni trenta. Trovare immagini di riferimento per vestire i personaggi femminili è stato piuttosto semplice, ma altrettanto non posso affermare per la ricerca di immagini per gli abiti dei personaggi maschili. Purtroppo (e ancora non so spiegarmi il motivo) qualsiasi cosa tu possa digitare sulla barra di Google cliccando poi su Immagini, trovi foto di donne con abiti più o meno succinti... Ad ogni modo il segreto è solo uno: perseverare. Bisogna perseverare, non perdere mai la speranza nelle capacità del motore di ricerca più famoso del mondo, perché se hai fede, prima o poi qualcosa lo trovi.

Il passo successivo è stato andare alla ricerca dei costumi. Assieme a Elisa e a Federica Lucchesi, la Truccatrice e Acconciatrice, siamo andate alla sede del Teatro Vertigo e siamo entrate dentro la stanza adibita a costumeria. Accesa la luce, ci siamo ritrovate in mezzo ad un sacco di cappotti, vestiti, gonne, pantaloni, camicie, cappelli. Un delizioso arcobaleno di tessuti colorati, ordinati alle pareti come un enorme armadio a vista pieno di una molteplicità di persone d'etnia, di sesso e d'età diverse. Ci siamo guardate intorno, un po' spaesate, perché l'occhio non trovava pace, non sapeva dove fermarsi e alla fine tutta quella diversità è diventata quasi una massa informe di colori e tessuti. Ammetto che inizialmente siamo state un po' intimorite da tutta quella mole di vestiti, ma non ci siamo date per vinte. Abbiamo fatto un gran respiro, ci siamo riordinate le idee e ci siamo messe a frugare. Abbiamo selezionato gli abiti più adatti e li abbiamo sistemati in attesa dell'arrivo degli attori, che dovevano provarli e indossarli per capire se ci si sentivano a proprio agio, perché per quanto un abito possa essere azzeccato e perfetto per il personaggio, se l'attore che lo indossa non ci si sente bene, allora è da scartare.
L'attore e l'abito di scena devono essere l'uno il sostentamento dell'altro e devono completarsi, un po' come due innamorati, perché solo così possono dar vita al personaggio. Fortunatamente, con l'utilizzo di qualche abito e accessorio mio e di alcuni degli attori, i costumi sono stati scelti ed approvati dal regista nel giro di una settimana o poco più. E ormai non mancava poi troppo all'andata in scena.

A circa un mese dalla data del debutto gli attori hanno iniziato a sentire un po' di pressione, ognuno a modo suo. Chi era più nervoso o insofferente del solito, chi si chiudeva in se stesso per concentrarsi meglio, chi scaricava la tensione ridendo e scherzando... facendo innervosire ancora di più i primi! Ma, a prescindere da come la affronti, la pressione è una cosa positiva. Ti sprona a far di più e meglio e, anche quando dopo una giornata intensa, all'ennesima volta che ripeti la stessa scena, sei esausto, ti fa tirare fuori energie che non pensavi di avere.

Così i giorni si susseguivano e ad ogni prova i personaggi hanno sempre più preso vita, i dialoghi hanno preso il giusto ritmo e i conflitti il giusto pathos. Ben presto, ogni volta che iniziavamo le prove, Silvia, Gianluca, Annalisa e Lorenzo smettevano di esistere e diventavano Amanda, Tom, Laura e Jim. Io ed Elisa davamo sempre meno suggerimenti e Marco sempre meno indicazioni, perché ormai gli attori avevano imparato a memoria tutte le loro battute, le espressioni, le controscene e i movimenti e in ogni prova semplicemente riuscivano ad essere sempre un po' di più i personaggi che interpretavano.

Tutto filava come doveva filare, almeno fino a quando Lorenzo non si è ammalato a circa una decina di giorni dall'andata in scena. Quando il regista lo è venuto a sapere, vi assicuro che un pugno allo stomaco gli avrebbe fatto meno male e, sebbene io fossi la prima a dirgli di rimanere tranquillo, che Lorenzo si sarebbe rimesso in tempo, in realtà ero piuttosto preoccupata. Lo eravamo un po' tutti e probabilmente la nostra preoccupazione era infondata, perché è risaputo che dall'influenza si guarisce nel giro di pochi giorni ma quando la data del debutto si fa vicina la capacità di ragionamento nei riguardi di fatti simili rasenta seriamente lo zero assoluto. Ad ogni modo, se ve lo state chiedendo, sì... Lorenzo è guarito, sta bene, è andato in scena insieme ai suoi compagni, ai suoi amici, dando vita ad uno spettacolo intenso ed emozionante.

Ci sarebbe ancora molto da raccontare di questi mesi di prove, ma ogni messinscena è come una ricetta culinaria e il regista ne è il cuoco e... beh, qualsiasi cuoco che si rispetti non svela mai la sua ricetta segreta! Dopotutto, anche questi piccoli misteri fanno parte del fascino del mestiere del teatrante.

Per concludere, a mio personale giudizio, la decisione del regista di prendere attori che sono uniti da legami familiari e di amicizia anche nella realtà non è stata assolutamente banale, perché l'amore e l'amicizia si sono respirate fin dalle primissime prove e si sono rivelati utili in quei momenti di nervosismo e di sconforto in cui, guardando il calendario ti rendi conto di quanto la data del debutto fosse sempre più vicina e tutto quanto sembrasse ancora in alto mare, perché magari quella scena ancora non veniva come avrebbe dovuto o perché quella battuta maledetta non voleva venire in mente. E' normale quindi che tutto ciò si sia riversato poi sulla scena, durante lo spettacolo. L'amore e l'amicizia, a sipario aperto, non sono più concetti astratti ma veri, autentici. Sono Amanda, Tom, Laura e Jim. Sono lì, davanti allo spettatore. E sono lì, ad un passo da me, che sto dietro le quinte, con in mano il copione, quell'oggetto sacro da cui tutto lo spettacolo fluisce. L'amore e l'amicizia sono quando, vedendo per l'ennesima volta lo spettacolo, io per l'ennesima volta mi commuovo, mi emoziono e piango assieme ad Amanda, a Tom, a Laura, a Jim. L'amore e l'amicizia sono quando, a sipario chiuso, dopo l'applauso del pubblico, noi assistenti e attori e regista ci abbracciamo e ci vogliamo bene come una vera famiglia.


Infatti il teatro è questo. È una famiglia che si mette a nudo davanti allo spettatore, che condivide con lui le sue emozioni. Se leggendo queste mie parole vi è venuta voglia di respirare quest'aria di casa, andate a teatro, passate una serata diversa, divertitevi, emozionatevi... perché teatro non vuol dire noia. Il teatro è passione. Il teatro è vita

Rebecca

P.S.  Venerdì 12 dicembre l'ultima replica a ingresso ridotto. Vi lascio i contatti dell'Associazione Culturale Vertigo, in caso vogliate andare a vedere i prossimi spettacoli: Sito Web e Pagina Facebook.
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