
Certamente l'articolo non poteva non tenere conto di queste iniziative, quindi il 28 Dicembre sono andato al Museo per seguire la giornata, che annoverava visite guidate, laboratori per bambini e una conferenza su Giovanni Fattori del mio professore, Vincenzo Farinella.
Mi stoppo subito, non ho intenzione di dilungarmi in proposito, né di recensire l'iniziativa (anche se lo meriterebbe). Vi chiederete allora, perché ve ne sto parlando?
Semplicemente perché, in questo modo, sono venuto a conoscenza di modifiche e novità che hanno interessato (e interesseranno) il Museo e che in parte rispondono a delle problematiche che avevo menzionato nell'articolo originario.
Ma facciamo un passo indietro e vediamo cosa rappresenta il Museo Fattori.

Locato in Villa Mimbelli dal 1994, prima di tale data ha avuto diverse sistemazioni, come in Piazza Guerrazzi (nell'ormai abbandonato Cisternino) e nel dopo guerra in Villa Fabbricotti. Nella sistemazione attuale è esposta solo parte della collezione, quella inerente al nucleo di opere dei pittori livornesi dell' '800 e inizi '900, mentre, reperti garibaldini, archeologici, numismatici, e altro ancora, trovano posto solamente in depositi. La collezione del Museo è nata anche grazie all'impegno e agli sforzi di nostri concittadini del passato che si prodigarono con donazioni e sottoscrizioni per raccogliere e assicurare alla città di Livorno un'importante raccolta d'arte. La collezione può vantare opere importantissime, non solo in quanto capolavori pittorici, ma anche come documentazione storica di un'epoca tanto importante per l'Italia, quella per l'appunto che ha portato alla nascita di stato unitario. Illustrata con dovizia di particolari da Giovanni Fattori, qui risiede la sua collezione di opere più completa, oltre che di Pollastrini, Lega, Bartolena e tanti altri. Un nucleo davvero coerente di opere di artisti appartenenti a un determinato periodo, di persone legate da insegnamenti, pensieri, rapporti personali, ideali e talvolta stili, nonché dalla frequentazione o nascita nella città di Livorno. Una raccolta fondamentale per capire le ricerche e le preoccupazioni in campo artistico operate dagli artisti italiani a cavallo fra '800 e '900, volte alla riscoperta di un naturalismo in contrapposizione a concezioni più classiciste e idealizzate che negli ambienti accademici italiani imperversavano senza sosta da un lunghissimo periodo.

Uno spazio importantissimo per la città in quanto unico nel suo genere, fondamentale a scopo educativo e ricreativo, una delle attrazioni più importanti per i turisti, centro di studi e ricerca e tanto altro.

Ma perché? Secondo me i motivi sono moltissimi, e non tutti attribuibili alla gestione della struttura, ma qui mi limiterò a dire quelle che per me sono le carenze strutturali e programmatiche del Museo e della Villa tutta.
Premetto che i musei non sono aziende e, pertanto, non devono rispondere a logiche squisitamente economiche e numeriche - i musei non si misurano dagli incassi che portano visto che nessun museo al mondo copre le spese con i guadagni - ma dai benefici che portano alla comunità intera. Come sopra detto si tratta innanzitutto di funzioni educative e formative, in secondo luogo anche di conservazione della memoria, ma che è tale soltanto se prima si soddisfano le funzioni di ricerca e di educazione. Funzioni che attualmente il museo prende in bassissima considerazione.
Come si è permesso questo? Il museo affronta una situazione comune a moltissimi altri musei italiani: i fondi sono pochi e, come al solito, la cultura è considerata poco più che un optional, inoltre, sempre in pieno standard italiano, si affidano ruoli di gestione a personalità pescate più dal mondo della politica che da quello della cultura, il tutto nel più bieco silenzio e disinteresse dei cittadini. Ecco serviti tutti gli ingredienti per la ricetta del disastro.
Un disastro che assume le fattezze di un museo ospitato in uno splendido edificio che sta cadendo a pezzi, una collezione esposta senza adeguati allarmi, vetri di protezione, corretta cartellonistica. Nello spazio del museo, forse per insane scelte o costretti da strane esigenze, si è aggiunto parte della collezione dal Museo di Arti Progressive con opere contemporanee di eccellenti artisti ma che niente hanno a che vedere con il nucleo originale, così come si aggiunge nella stessa sala di Pollastrini anche un polittico di Neri di Bicci del XV secolo e altre due tavole a fondo oro esposte recentemente dopo anni senza alcuna loro notizia. Per finire, opere di artisti contemporanei locali qua e là fra corridoi e bookshop, e citerei anche la sala dedicata a Osvaldo Peruzzi (pittore vicino agli ideali di Marinetti), che solo da poco tempo è stata sostituita con opere di post macchiaioli attenuando, anche se forse solo temporaneamente, questa ambigua varietà. Se con questa scelta si voglia omaggiare il più autentico e caratteristico dei piatti nostrani, ovvero il Cacciucco, non lo sapremo mai, quello che appare ovvio è che ne risulta una confusione tale, che non risponde ad alcuna logica educativa o di ricerca.
Come ebbi già modo di constatare nel precedente articolo, la struttura è sprovvista dei più basilari servizi: si pensi che i custodi sono costretti a seguire il visitatore perché non ci sono adeguati sistemi di allarme e protezione, le etichette sono insoddisfacenti e solo in lingua italiana, la cartellonistica che introduce le sale è scarsa, monitor e sistemi interattivi neanche a parlarne, e ciliegina sulla torta, quello che dovrebbe essere un'altra potenzialità del museo si trasforma nell'ennesima manchevolezza. Sto parlando di una tela di Fattori, dove su un lato si trova l’opera Carica della cavalleria a Montebello, mentre sull'altro una scena tratta dalla storia dei Medici , rinvenuta nel corso di un restauro, che Fattori dipinse ma decise di cancellare e riutilizzare lo spazio di tela per la scena di battaglia, a lui più congeniale. Ebbene, questo quadro dipinto su due facce differenti è montato su un telaio in metallo, e non è affatto segnalato, davanti ad esso si trovano le due etichette che segnalano due differenti opere e che sono assolutamente fuorvianti. A tutto questo si

Si può ancora fare qualcosa? Ho perfino paura a dirlo ad alta voce per scaramanzia, ma credo che qualcosa stia accadendo. Per tutto Dicembre sono state organizzate conferenze, visite guidate e laboratori per i bambini con grandissima partecipazione, inoltre sono state fatte alcune modifiche sugli allestimenti e mostrati anche disegni preparatori fino ad oggi nascosti. A detta di alcuni assessori sui giornali, sono previsti ulteriori interventi di recupero della struttura e del parco. Ciò non toglie che sia necessario cambiare una mentalità che per tanti anni ha immobilizzato il Museo, in primis, le amministrazioni dovrebbero tributargli lo stesso impegno e aiuto che viene dato ad altri enti culturali come l’Istituto Mascagni e il Teatro Goldoni, poiché la sua funzione (seppur con mezzi diversi) non è dissimile. Il museo deve diventare un centro culturale a 360° in grado di stimolare formazione e ricerca, e di assolvere al ruolo di educazione e formazione per i nuovi cittadini. È necessario poi che venga presa in considerazione la possibilità che la gestione fino ad ora sia stata inefficiente e che necessiti di qualche revisione, magari inserendovi ulteriori competenze: si dovrebbe coinvolgere nella gestione degli esperti d'arte e non nominare come responsabili figure con altre competenze. A Livorno ci sono tantissimi ricercatori e professori di Storia dell'arte, molti dei quali studiosi dell' 800 italiano, che potrebbero portare il loro contributo. T. Montanari, in un libro che mi ha colpito molto, scrive: Un museo che non fa ricerca è un deposito di roba vecchia [...] nemmeno è una discarica per politici trombati, giornalisti finiti, membri cadetti di grandi famiglie [...] un museo che non è guidato da un ricercatore è come un aereo che non è guidato da un pilota. Ed il museo Fattori tutt'oggi non è guidato da un ricercatore.
Permettetemi ora di fantasticare su un Museo diverso.
Un museo collocato in un edificio curato e restaurato, il cui allestimento è coerente e risponde a una logica di fruizione da parte di tutti, e che magari in parte, con lungimiranza, strizzi l'occhio al turismo, allestendo una saletta dedicata ad Amedeo Modigliani: vi troverebbe spazio solo quell'operetta giovanile e qualche disegno su carta, ma sarebbe forse più interessante di certe sale allestite attualmente. Un museo dove in tre passi non si va da Munari e Burri, a Pollastrini e Neri di Bicci. Un museo dove per sapere che dietro a un quadro di guerra si nasconde un dipinto ritrovato e insolito di Fattori, non sia necessario avere la fortuna di trovare un custode ben disposto alla cortesia di spostarci quel macchinoso telaio. Un museo che fa sistema con tutta la villa, dove nei Granai trovano spazio esposizioni temporanee serie (coinvolgendo sponsor e collaborazioni) o eventualmente trovi spazio quello che non è coerente con il nucleo originario; dove la biblioteca è curata e fruibile, senza compromettere la tutela dei libri. Un museo dove gli spazi oggi


Incoraggianti sono, in tal senso, le recenti dichiarazioni dell'assessore alla cultura livornese secondo cui si sarebbero trovati fondi per riaprire il teatro e sistemare la biblioteca, anche grazie a contributi spontanei di privati. Un primo passo verso il recupero e il rinnovamento del nostro museo che deve diventare il nucleo centrale della cultura livornese e non più deposito di anticaglie. Concludo queste mie riflessioni scomodando per un'ultima volta il giornalista e critico d'arte Montanari, quando afferma che:
Studio vuol dire amore, educazione vuol dire tirare fuori l’umanità che è chiusa nell'uomo, il diletto è la dolcezza che ci avvince nella vita. Se un museo riesce a ridare a queste tre parole il loro significato etimologico, profondo: ebbene, quello è davvero un museo.
Riuscirà mai il Fattori a rispondere a questa definizione? Lo scopriremo solo vivendo.
Saluti
il vostro amorevole Ako di quartiere

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