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lunedì 18 aprile 2016

Voto? Non voto.

Sono stato giorni, forse un paio di settimane, a tormentarmi, a pormi domande e di conseguenza a documentarmi. Voto, non voto. Ho letto, riletto, ho cercato di approfondire. Voto, non voto. Ho provato anche a chiudere gli occhi e a pensare di istinto, di pancia. Voto sì. Poi però è tornato quel brutto vizio, quello di non fermarsi in superficie, di cercare di andare più a fondo, di porsi domande e di cercare risposte.









Ho capito il giusto del quesito referendario. Forse sono duro io, o forse c'era qualcosa che sollevava più di un dubbio. Ho capito che era un argomento complicato, da tecnici. Ho capito che in realtà “Referendum sulle trivelle” era la definizione sbagliata per definire l'argomento; che nuove trivelle, entro le 12 miglia, sono già proibite, ma lo slogan “NO TRIV” fa molto effetto e smuove gli umori più reconditi delle persone. Ho capito che era un Referendum molto molto politico: a detta degli stessi promotori “perché bisogna mandare un messaggio al governo” (o una spallata?) perché a proporlo sono state 9 Regioni e non 500.000 mila firme degli elettori (prima volta nella storia). Proprio nel momento in cui il governo propone leggi che tolgono potere alle Regioni stesse. E la contromossa sarebbe un Referendum?

Ho capito che entro le 12 miglia, se avesse vinto il sì, a fine concessione avrebbero chiuso tutte le restanti piattaforme. Però non ho capito: cosa succede a 12 miglia e mezzo? E a 13? e a 14? Cambia così tanto a livello di pericolo ambientale, di inquinamento? Perché nessuno lo ha spiegato bene?
Ho capito che l'estrazione dalle piattaforme coinvolte dal Referendum copriva una percentuale esigua del nostro fabbisogno, quindi tanto vale chiuderle. Bene, ok. Ma quella percentuale anche esigua, adesso come la copriremo? Presumibilmente la importeremo. E chi mi dice che nei luoghi dove vengono estratti petrolio e gas che noi dobbiamo importare, vengono rispettate regole sull'inquinamento, sul lavoro e via dicendo. Oppure volete dirmi che se inquinano in un imprecisato “laggiù” va bene, mentre se inquinano qui no, levata di scudi.

Mi si dirà: dobbiamo smetterla con gli idrocarburi. Il futuro sono le energie rinnovabili. Bisogna inquinare di meno. Benissimo, allora la battaglia è culturale. Contro le persone che storcono la bocca quando gli viene chiesto di fare la differenziata, quelle che sbuffano perché c'è una nuova “Zona a Traffico Limitato” nella loro città, e non possono arrivare con la macchina a benzina sopra il loro pub preferito (o meglio ancora dentro). Oppure verso quelle che quando hanno finito la birra la lanciano nel fosso o la lasciano per terra perché i cestini sono lontani (di queste tre cose, i livornesi dovrebbero essere a conoscenza). Anche questi sono modi per inquinare di meno.

Ho tentennato. Perché chi ha sempre e solo certezze mi fa pure un po' paura. Ho vacillato quando qualche politico importante ha invitato a non votare (brutta cosa). Ma questo mi ha solo confermato la politicizzazione del Referendum, della guerra tra partiti su un tema che dovrebbe essere materia di politica sì, ma politica condivisa. Per il futuro del nostro paese. Ho avuto un vero e proprio raptus da votazione compulsiva quando tale Ernesto Carbone, deputato della Repubblica in quota pd, ha twittato (sdoganando, tra l'altro, a livello istituzionale l'insopportabile parola ciaone) bullandosi di milioni di persone che con dignità sono andati a votare (bruttissima cosa).

Ho letto anche, soprattutto sui social network, lunghi e accorati post che alla fine dicevano “non conta se sì o no (ma meglio sì), l'importante è votare”, oppure “...ho rispetto per chi voterà No, disprezzo chi non voterà”, o anche “...chi non andrà a votare poi non si potrà lamentare se le cose vanno male...” “...chi non vota dovrebbe vergognarsi di essere italiano...”.
Ho anche pensato per un momento che potessero aver ragione, che il diritto di voto è una cosa bellissima e anche un dovere civico e quindi non si deve perdere l'occasione; poi ho pensato anche che nel diritto di votare sta il diritto di non votare; il diritto di dire che a me questo Referendum non piaceva, non lo volevo, non credevo che dovesse essere fatto in questo modo. Il diritto di dire che, pur essendomi documentato, non sono riuscito a diventare un esperto della materia, che di trivellazioni, estrazioni e via dicendo dovrebbe occuparsi la politica, evitando di farsi la guerra per qualche voto in più.


Come vedete, i dubbi sono stati tanti e la maggior parte rimangono ancora. Ma alla fine ho deciso di rimanere coerente con i miei dubbi e con le mie incertezze, evitando di improvvisarmi paladino del sì o del no, ma decidendo semplicemente  di non partecipare al Referendum. E mi piacerebbe che come io rispetto chi ha votato, anche coloro che ci sono andati rispettassero la mia di decisione. Senza pensare che abbia passato la giornata al mare, senza pensare che non ho votato perché me l'ha detto Renzi e bla bla bla. Anche se non ci credete, c'è dignità pure nel non votare. 
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