“Sacre terre dei fuochi”, questo il nuovo appuntamento
del progetto “Fattori Contemporaneo, la mostra di Francesco Tomassi, inaugurata
giovedi 22 settembre nei Granai di Villa Mimbelli e che rimarrà aperta fino al
27 novembre.
Francesco Tomassi è un personaggio notissimo, architetto di fama
nazionale che ha firmato diverse opere anche a Livorno. Qui in mostra lo apprezziamo non per il frutto dei suoi sforzi con righe, compassi e planimetrie
ma per ciò che scaturisce dal suo lungimirante pennello.
Se siamo abituati alla qualità delle sue opere
architettoniche dovremmo incominciare a fare altrettanto anche per le creazioni
del Tomassi pittore, o ancor meglio del Tomassi aedo, narratore e cantore di
realtà talvolta criptiche, pregne di significato e cinicamente con i piedi per terra.
Avevamo avuto modo di parlare con Tomassi già tempo fa, e quella volta
ricevendoci nel suo splendido studio, ci raccontò di come sempre di più negli
ultimi anni sentisse l’esigenza di concentrarsi sulla sua pittura, di nutrirla. E se noi per nutrici ci basta banalmente aprire un frigo, la pittura di
un’artista come Tomassi si alimenta mostrandosi in pubblico.
Ecco che finalmente prende forma quel progetto di cui
ci parlava: mostrare le sue opere frutto degli sforzi degli ultimi anni,
in una mostra che fin dal titolo ci prepara a quale tipo di visioni si
presenteranno varcato l’ingresso dei Granai.
“Sacre terre dei fuochi”, ci
ricorda le vicende del nostro mondo ammalato e avvelenato da una società capace
di sacrificare tutto per l’interesse. Tomassi è un disincantato e attentissimo
cronista di questi anni, e la sua pittura par aver subito una metamorfosi
totale negli ultimi anni.
Chi tiene memoria delle sue pitture precedenti,
quelle cariche di enigmi, di incontri e dell’incessante attesa che qualcosa
accada proprio lì e in quel momento, vedrà come la poetica del Tomassi sia
stravolta, lasciando spazio a una desolante riflessione sull’attualità, fatta
di un’umanita sola e smarrita davanti alle grandi tragedie della nostra contemporaneità.
Uomini in cerca di risposte che non arriveranno, aggrappati a una speranza che
sanno si rivelerà vana, ma che ciononostante rimane l’unica alternativa all’orrido abisso della rassegnazione. Ad assecondare questo cambiamento di
tematiche anche un'equivalente mutazione dei suoi mezzi pittorici, la pittura
si sfalda e si carica di atmosfere dense che contrastano con la plasticità
delle figure di sovente prese in prestito dalla migliore tradizione toscana e
con quella umanità degna ma al contempo così profondamente umile da sembrare quasi sacrale, che ci ricorda Millet, mentre la tavolozza
si fa più scura e grave.
La mostra curata da Ilario Luperini conta 28 grandi
quadri dell’artista disposti in tre
grandi sale, ci accompagna per mano nelle preoccupazioni dei nostri tempi: i
veleni, disastri ecologici, l’individualismo, l’emigrazione trasportate con
magistrale sensibilità su tela. Una ricerca intimistica che passa per grandi
paesaggi immersi in un'aurea atemporale, talvolta calati o meglio calcati su un’umanità senza volto, che aspira a un nuovo futuro che non riesce a scorgere o che
guardandosi dietro e ripercorrendo con la vista i propri passi, ha un'unica sicurezza,
ciò che si è lasciato indietro, perduto per sempre.
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