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venerdì 7 ottobre 2016

"Sacre Terre dei Fuochi" la mostra di Francesco Tomassi


 Sacre terre dei fuochi”, questo il nuovo appuntamento del progetto “Fattori Contemporaneo, la mostra di Francesco Tomassi, inaugurata giovedi 22 settembre nei Granai di Villa Mimbelli e che rimarrà aperta fino al 27 novembre. 
Francesco Tomassi è un personaggio notissimo, architetto di fama nazionale che ha firmato diverse opere anche a Livorno. Qui in mostra lo apprezziamo non per il frutto dei suoi sforzi con righe, compassi e planimetrie ma per ciò che scaturisce dal suo lungimirante pennello.
Se siamo abituati alla qualità delle sue opere architettoniche dovremmo incominciare a fare altrettanto anche per le creazioni del Tomassi pittore, o ancor meglio del Tomassi aedo, narratore e cantore di realtà talvolta criptiche, pregne di significato e cinicamente con i piedi per terra.
Avevamo avuto modo di parlare con Tomassi già tempo fa, e quella volta ricevendoci nel suo splendido studio, ci raccontò di come sempre di più negli ultimi anni sentisse l’esigenza di concentrarsi sulla sua pittura, di nutrirla. E se noi per nutrici ci basta banalmente aprire un frigo, la pittura di un’artista come Tomassi si alimenta mostrandosi in pubblico.
Ecco che finalmente prende forma quel progetto di cui ci parlava: mostrare le sue opere frutto degli sforzi degli ultimi anni, in una mostra che fin dal titolo ci prepara a quale tipo di visioni si presenteranno varcato l’ingresso dei Granai. 

“Sacre terre dei fuochi”, ci ricorda le vicende del nostro mondo ammalato e avvelenato da una società capace di sacrificare tutto per l’interesse. Tomassi è un disincantato e attentissimo cronista di questi anni, e la sua pittura par aver subito una metamorfosi totale negli ultimi anni.
Chi tiene memoria delle sue pitture precedenti, quelle cariche di enigmi, di incontri e dell’incessante attesa che qualcosa accada proprio lì e in quel momento, vedrà come la poetica del Tomassi sia stravolta, lasciando spazio a una desolante riflessione sull’attualità, fatta di un’umanita sola e smarrita davanti alle grandi tragedie della nostra contemporaneità.

Uomini in cerca di risposte che non arriveranno, aggrappati a una speranza che sanno si rivelerà vana, ma che ciononostante rimane l’unica alternativa all’orrido abisso della rassegnazione. Ad assecondare questo cambiamento di tematiche anche un'equivalente mutazione dei suoi mezzi pittorici, la pittura si sfalda e si carica di atmosfere dense che contrastano con la plasticità delle figure di sovente prese in prestito dalla migliore tradizione toscana e con quella umanità degna ma al contempo così profondamente umile da sembrare quasi sacrale, che ci ricorda Millet, mentre la tavolozza si fa più scura e grave.

La mostra curata da Ilario Luperini conta 28 grandi quadri dell’artista  disposti in tre grandi sale, ci accompagna per mano nelle preoccupazioni dei nostri tempi: i veleni, disastri ecologici, l’individualismo, l’emigrazione trasportate con magistrale sensibilità su tela. Una ricerca intimistica che passa per grandi paesaggi immersi in un'aurea atemporale, talvolta calati o meglio calcati su un’umanità senza volto, che aspira a un nuovo futuro che non riesce a scorgere o che guardandosi dietro e ripercorrendo con la vista i propri passi, ha un'unica sicurezza, ciò che si è lasciato indietro, perduto per sempre.
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